Così è (Se vi pare) al Sociale di Pinerolo il 19 gennaio

Sabato 19 gennaio 2019 ore 21.00, Teatro Sociale di Pinerolo

COSÌ È (SE VI PARE)
DI Luigi Pirandello
con (in ordine alfabetico) Francesca Agostini, Giuseppe Battiston, Mauro Bernardi, Andrea
Di Casa, Filippo Dini, Ilaria Falini, Mariangela Granelli, Dario Iubatti, Orietta Notari,
Maria Paiato, Nicola Pannelli, Benedetta Parisi, Giampiero Rappa
regia Filippo Dini
scene Laura Benzi – costumi Andrea Viotti – luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino – assistente alla regia Carlo Orlando – assistente ai costumi Eleonora Bruno
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale presenta COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello, con la regia di Filippo Dini.

Filippo Dini dirige e interpreta un Pirandello (il suo primo) che guarda a Buñuel. In un claustrofobico interno borghese, il mistero della signora Frola e del signor Ponza, suo genero, assume i contorni surreali di un sogno. I veri pazzi? I pettegoli che stanno a guardare.

Il signor Ponza, la sua misteriosa moglie e la suocera, signora Frola, sono i protagonisti della trama da poliziesco che Luigi Pirandello costruisce nel 1917 con Così è (se vi pare).
Un gioco di enigmi sul tema, caro al drammaturgo siciliano, della dimensione sempre tragicamente soggettiva della verità, che non esclude una potente dimensione grottesca. A sfidare questo classico del teatro italiano, con il quale si sono cimentati mostri sacri e mattatori, è il pluripremiato Filippo Dini (Il discorso del Re e Ivanov, andati in scena al Carignano), interprete e anche regista di questa nuova produzione targata Teatro Stabile di Torino.
Il quarantacinquenne artista genovese scardina la tradizione del “pirandellismo” con un Pirandello che guarda a Buñuel: il confronto tra i personaggi si consuma come un gioco al massacro, violento e crudele, in un claustrofobico interno borghese. L’allestimento si muove in una dimensione onirica e surreale: non c’è realtà, non c’è verità, se non quella mutevole e soggettiva dell’inconscio, del sogno. Nel palleggio di attribuzione della pazzia su cui Pirandello fonda la sua commedia/thriller (il folle è il signor Ponza che crede defunta la moglie ancora viva o è matta la signora Frola che ha perso il senno dopo la morte della figlia?) Dini indica una strada alternativa: pazzi sono i borghesi del paese, gretti e pettegoli, che osservano e giudicano dal di fuori, simili agli spettatori di un grande show permanente. Come del resto è il mondo attuale.

Filippo Dini si è formato alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Nel 1998, insieme ad altri quattro compagni di corso, tra cui Fausto Paravidino, fonda la compagnia Gloriababbi Teatro, con la quale dirige e interpreta numerosi spettacoli. Ha all’attivo parecchie interpretazioni per il grande e piccolo schermo: al cinema è stato diretto da Nanni Moretti, Pupi Avati, Paolo e Vittorio Taviani. Nel corso della sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2011 come migliore attore non protagonista nello spettacolo Romeo e Giulietta di Shakespeare, diretto da Valerio Binasco, il Premio ANCT Hystrio 2014, il Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2016 come miglior regia dello spettacolo Ivanov di Cechov.

NOTE DI REGIA

Una volta fu chiesto a Pirandello come era sorta in lui l’idea del Così è (se vi pare). Egli rispose: “Un sogno: vidi in esso un cortile profondo e senza uscita, e da questa immagine paurosa nacque il Così è (se vi pare)”.

La mia generazione ha sempre avuto uno sguardo snob nei confronti di Luigi Pirandello.
Quello sguardo superbo che spesso si ha da adolescenti nei confronti dei nonni, quando l’età matura ci appare come un obiettivo urgente e finalmente raggiungibile, e la fretta di raggiungerlo ci nega la possibilità di fermarci per osservare, comprendere una realtà passata a noi ignota e poiché ignota, e passata, priva di qualsiasi eccitante rivelazione.
Siamo sempre stati attratti da altre drammaturgie, altre epoche, altri obiettivi, meglio se nutriti da un’urgente ideologia.
Pirandello ci parlava, in una lingua vecchia e insopportabile, di cose che già conoscevamo e non rivelavano più un bel niente di nuovo, di “formativo”: le sue trame erano contorte, complicate, difficili da riassumere in poche parole e la loro conclusione racchiudeva sempre una morale, un concetto, un’idea della vita che ci pareva essere sempre assai obsoleto, pedante e terribilmente vecchio.

Nonostante le innumerevoli messe in scena, credo che le commedie di Pirandello, nascondano nelle loro intricatissime strutture drammaturgiche segreti a noi ancora oscuri e misteriosi, pieni di fascino e di novità.
Credo che la straordinaria produzione del nostro autore continui ad avere un fortissimo impatto sulla nostra fantasia e sia intessuta di quella magica potenza che di solito è caratteristica fondamentale di tutti i più grandi drammaturghi, quella condizione che li mette in contatto attraverso le epoche: la possibilità di poter fare i conti con noi stessi, con le nostre brutture, le nostre debolezze, le nostre passioni, i nostri desideri di distruzione e di amore, in qualunque epoca vengano letti, permettendoci, nonostante le diverse condizioni sociali e capacità di lettura, che l’epoca ci impone, di ricevere le risposte e le domande di cui abbiamo bisogno in quel momento esatto.

Nel periodo in cui le sue commedie si presentarono alla scena, crearono fin da subito imbarazzo, stizza, talvolta rabbia vera e propria, suscitarono sentimenti contrastanti e appassionati nel pubblico che gridava al genio e allo scandalo.
E nel nostro caso, quello di Così è (se vi pare), l’autore privò addirittura il pubblico del finale!
La vicenda si svolge in un piccolo centro, dove sono da poco arrivati tre strani figuri: un tal signor Ponza, sua moglie e la signora Frola, mamma della signora Ponza.
Tutta l’azione si svolge a casa del consigliere Agazzi, dove si riuniscono un gruppo ristretto di persone (ma che in qualche modo rappresenta e incarna la curiosità di tutto il paese), per scoprire quale strano o indicibile segreto si nasconda dietro la bizzarra condotta dei tre: la signora Ponza vive reclusa in una casa in periferia, ci vive insieme al marito, che quotidianamente, e più volte al giorno, va a trovare la suocera, sistemata invece in un appartamento in un condomino alto borghese, in centro, proprio accanto alla famiglia Agazzi.
Perché?
Cosa si nasconde dietro a questi tre?
Quale legame e quale terribile segreto condividono queste tre persone?
Pirandello dirige e condiziona la nostra attenzione con straordinaria caparbietà, fornendoci dettagli di ogni tipo, ora pronunciati dal Ponza, ora dalla Frola, ora dai curiosi, in forma di congetture possibili; alimenta il nostro desiderio di sapere, lo sottopone continuamente a nuovi colpi di scena, accrescendo sempre di più in noi la voglia irresistibile di conoscere la verità, e lo fa sempre con maggiore tensione, anzi la brama di conoscenza suscitata in noi che guardiamo, sembra in certi casi alimentare quella stessa dei personaggi che conducono l’inchiesta fino alla fine.
E poi, nell’ultima scena, Pirandello ci dice: la verità non può essere rivelata, poiché l’interpretazione della realtà non è più un concetto oggettivo, bensì solo e unicamente soggettivo.
Umilia e frustra il nostro stesso compito di spettatori, spettatori di qualcosa che lui stesso ci ha invitato ad osservare.
E qui si attua la prima delle sue grandi rivoluzioni, che incrina il nostro rapporto con lui, con il teatro stesso e in ultima analisi il rapporto tra noi e la nostra immaginazione.
Perché?
Poco dopo aver scritto la commedia, nel proporla al capocomico Virgilio Talli, che poi fu il primo a metterla in scena, scrisse: “Il pubblico? Eh, io, dal canto mio, illustre commendatore, l’ho abituato ad aspettarsene da me d’ogni colore. Gli sono andato sempre con le dita negli occhi; ed esso lo sa. È il mio gusto e il mio piacere. Tutta la mia opera è stata sempre così, e sarà così: una sfida alle sue opinioni e soprattutto alla sua quieta morale… o immorale. Mi passerà buona anche questa, vedrà. Ne avrà stizza, si roderà, ma non potrà fare a meno di sentirsi incatenato dall’interesse per ciò che la mia commedia significa”.

Fin dalla prima lettura di Così è (se vi pare) si avverte, da subito, la sensazione di aver compreso poco. Oltre all’indignazione, forse infantile, ma certamente viscerale, di esser stati privati della conclusione, si resta come rimbambiti, resi ottusi da qualcosa che ci è sfuggito, viene voglia di tornare indietro, di rileggere, di ricominciare, e così è.
E ancora. E ancora.
Lentamente si manifestano moltissimi piani di lettura perfettamente incastrati e intrecciati vicendevolmente nella commedia, sempre e solo a supporto e sostegno della trama principale, un’indagine lunga e complessa, che purtroppo non porterà a nulla.
Lo studio della commedia da parte di chiunque abbia desiderio di sviscerarne i segreti, riflette, in modo perverso, la ricerca effettuata dai borghesi nei confronti del terzetto, esercita un fascino irresistibile e condiziona in modo progressivo le nostre passioni nel tentare di afferrarla, nel cercare di districare tutte quelle molteplici trame, per giungere alla stessa soluzione a cui arriva l’indagine dei borghesi: nessun “colpevole”.
Nessuno da additare come pazzo.
Nessuna certezza.
La signora Ponza, alla fine della commedia dirà che: “Qui c’è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato”, ovvero la pietà ha accordato alla loro sventura un rimedio, una soluzione che mette tutti e tre in pace, e l’unico modo affinché questo rimedio possa davvero essere efficace, è che la sventura resti nascosta.

È evidente che il primo livello di lettura, il più immediato, è quello dell’indagine poliziesca: i borghesi, come sbirri accaniti, tentano di venire a capo di un giallo.
Così facendo conducono un’indagine violenta e coercitiva nei confronti dei tre, in un’escalation crescente di violenza e sopruso, fomentata dalla curiosità di una “verità a qualsiasi costo”.
Se si scende ancora di un gradino nelle viscere della commedia, si assisterà ad uno scontro archetipico, antichissimo e paradossale, che costituisce le fondamenta di ogni tragedia a noi nota: il confronto o lo scontro tra il mondo tragico interpretato dal terzetto, e il mondo del melodramma, quello dei borghesi appunto, superficiale, ottuso e carico di nevrosi, piuttosto che di tragedia.
I nostri tre protagonisti vengono presentati dall’autore come sopravvissuti ad uno dei fenomeni sismici più devastanti della nostra storia: il terremoto della Marsica del 1915, che fece circa trentamila vittime. Il pubblico presente al debutto certamente avrà sentito un brivido di orrore solo al sentirlo nominare, giacché la tragedia risaliva a soli due anni prima.
Quindi mi pare evidente che la rappresentazione del dolore, unita a tutto ciò che evoca la condizione di superstite, si manifesti con una chiarezza tale da diventare una componente fondamentale della brama di possesso borghese, ovvero il possesso della tragedia.
Dall’alto del loro status, fatto di forma e vuota morale, i protagonisti nutrono segretamente un disperato bisogno di possedere il dramma di qualcun altro, la disperazione più nera di qualcuno che sia fuori dal loro contesto, la tragedia appunto di tre poveri disgraziati.
Già a questo punto la questione inizia a farsi interessante, poiché l’accanimento del paese risulta essere quello di chi non vuole indagare le proprie miserie, il pozzo nero della propria anima, ma preferisce caricarsi delle disgrazie altrui, per riuscire a superare il terrore di sporgersi verso il proprio abisso.
Queste considerazioni ci permettono di proseguire la nostra discesa cognitiva ancora di un gradino, ovvero al concepire tutta la vicenda come il confronto, iniziato nel giardino dell’Eden, tra l’uomo e Dio.
In questo modo l’indagine dei borghesi diventa l’eterna ricerca da parte dell’uomo, di possedere la Verità.
Purtroppo però l’uomo non può che indagarla con i propri mezzi, utilizzando le limitate capacità messe a sua disposizione: ciò nonostante la desidera oltre ogni possibile previsione, brama con tutta la sua passione (quella messa in atto appunto dai borghesi nel corso di tutta la commedia) di comprendere, di “prendere dentro di sé” la Verità. Naturalmente ne consegue che procederà in modo progressivo e definitivo verso la pazzia, verso la perdita di tutto, della propria ragione e di tutte le certezze, in un certo senso arriverà l’uomo contemporaneo.
Pirandello lo preannunciava già nel 1917, quando la psicanalisi era appena nata e l’orrore indicibile della prima guerra mondiale preparava l’Europa e il mondo agli orrori dei campi di sterminio e della bomba atomica.

Questo spunto interpretativo ci apre uno sguardo sul tema religioso che serpeggia nel corso di tutta l’opera.
Vi sono in essa moltissimi richiami, ben nascosti, al tema della ricerca di Dio, come una sfida, a volte quasi blasfema, nei confronti della Verità: c’è la presenza di un trio, o di una trinità, che diventa l’oggetto dell’attenzione di tutti gli altri personaggi; c’è poi la necessità tra di loro di un mediatore, il personaggio di Laudisi che si fa tramite, che si fa “uomo” per incarnare una speranza nella loro possibile salvezza, purtroppo negata da ognuno di loro, e in ultima analisi, ma il richiamo più evidente, c’è il titolo della commedia.
“Così è” è una possibile traduzione del termine “Amen”: definisce in modo categorico e definitivo una verità ontologica, la preannuncia, appunto nel titolo, in maniera incontrovertibile, quindi sacra. Tutto ciò è seguito da un “se vi pare”, inframezzato da una parentesi ridicola.
Pirandello si fa beffe di noi e della nostra brama di Verità, deride la nostra misera condizione e la nostra superbia, con l’ironia di una parentesi.
Non contento ci ripropone la stessa umiliazione nel sottotitolo, dicendo che ciò che andremo a leggere, o ad assistere, è una “Parabola in tre atti”; solitamente qualunque scrittore avrebbe scritto “commedia in tre atti”, come era in uso all’epoca, invece lui sceglie di nuovo un termine religioso, sacro, indicando che si tratta di un racconto esemplare e dimostrativo, atto ad illustrare un insegnamento religioso, ma… in tre atti!
Risulta evidente anche qui l’intento di ironizzare sulla sua volontà di demolire il nostro desiderio di certezze, di assoluto, di qualcosa che in fin dei conti quieti e metta a tacere l’orrore delle nostre incertezze, che sveli il mistero dell’esistenza una volta e per sempre.
Pirandello agisce, scrive, pensa senza nessuna pietà nei nostri confronti, il suo sorriso verso le nostre miserie è sempre perfido e privo di speranze. Credo che la comicità delle sue commedie, l’ilarità che suscita in noi, sia sempre generata dalla consapevolezza del nostro essere fallibili e incapaci di governare le nostre passioni e la nostra mente.
Per questo, ritengo che il relativismo gnoseologico, ovvero quella posizione filosofica secondo cui la conoscenza non si basa su criteri oggettivi ma unicamente soggettivi, risulti essere l’elemento di analisi più appariscente nella commedia, il più noto, poiché in esso troviamo una soluzione confortante e condivisibile, innocua.
Temo che Pirandello sia più consapevole e quindi più severo di così, e spinga la nostra attenzione ad uno sguardo più oscuro e coraggioso nei confronti dell’abisso che risiede in noi, uno sguardo più specifico nei confronti delle nostre singole individualità, dice Laudisi nel suo famoso monologo allo specchio: “Eppure vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa”.
Dopo Così è (se vi pare) tutte le lingue si confonderanno, la realtà per l’uomo diverrà inconoscibile, non ci sarà più né “vero” né “falso”, il vero ontologico si dissolverà così senza riparo nell’opinabilità, nella caotica coesistenza delle diverse prospettive individuali.
Detto tutto ciò sembra ormai evidente che questa commedia sia stata scritta proprio per la nostra epoca, sembra tratteggiare le stesse povertà, gli stessi limiti e le medesime prospettive individuali appunto dei tempi nostri, forse in modo ancora più esatto e pertinente di quanto non fosse palese al pubblico del 1917, e di qualsiasi altro a seguire.

Spesso è stato detto, e a gran voce dalla mia generazione ma anche da molte altre, che Pirandello sia stato uno scrittore mentale, che le sue commedie scarseggino di azione e i suoi personaggi non siano altro che funzioni di un ragionamento e basta.
Già ai suoi tempi Pirandello stesso era costretto a giustificarsi così: “Io spero in una valutazione più esatta del mio teatro, a cui è stata attaccata l’etichetta della cerebralità. Ma prendendo per esempio il Così è (se vi pare) che è il lavoro più “mio” si può sostenere che non vi si contenga un vero e doloroso dramma di passione? E la commedia anche, la commedia comica della curiosità provinciale che gli serve da sfondo? C’è tanto di passione dunque quanto c’è di cerebralità, la cerebralità di Laudisi che vede la vita e per il fatto stesso che la vede ne è già fuori e ci chiarifica tutta la beffa atroce che è inclusa nella vita stessa”.
Penso che l’intera sua produzione sia pregna di straordinarie passioni, sconvolgenti stravolgimenti, molto spesso legati a tradimenti coniugali e amplessi furtivi carichi di traboccante erotismo.
Ma la sua scrittura ha sempre avuto la grazia e la necessità (data l’epoca in cui scriveva), ma soprattutto la fantasia di nascondere, confondere, lasciar trasparire a tratti tutta l’esplosione dei suoi sensi attraverso le trame intricate di una struttura finalizzata alla distruzione di una morale, finalizzata al raggiungimento di un fine spiazzante e scomodo.
Ciò che risulta più vicino alla scrittura pirandelliana è il sogno: credo che egli sia il primo vero surrealista (ante litteram) della storia, poiché le leggi che governano le sue opere sembrano le medesime leggi attraverso le quali si tenta di sviscerare i nostri sogni.
La morale o l’insegnamento che spesso le governa sembra fare da sfondo (ovviamente in primo piano, proprio come nei sogni) alla liberazione, o talvolta al contrario di essa, delle passioni più potenti e distruttive.
Per questo è stato molto utile in tutto il mio percorso di studio, notare le numerosissime analogie tra il teatro di Pirandello e il cinema surrealista e nello specifico quello di Luis Buñuel, con particolare attenzione a L’angelo sterminatore.
Come nella commedia, un gruppo di borghesi resta prigioniero della propria misera condizione di vita in una progressione degenerativa di morale e tensione emotiva, fino alle estreme conseguenze; i personaggi sono descritti con la stessa apparente freddezza, ma capaci di azioni orribili, assistiamo alla medesima cerebralità nella scrittura, ma il suo messaggio è potente e la forza degli spunti di non coerenza o illogicità aprono vie di libertà alla nostra fantasia, e proprio come Pirandello, Buñuel fa lo stesso uso dell’ironia, con la stessa perfidia, lo stesso cinismo.

Credo che Pirandello sia un autore nostro contemporaneo, forse addirittura futuro (!), e che la sua drammaturgia sia ancora piena di luoghi da esplorare e segreti irrisolti.
Nel periodo in cui scrisse Così è (se vi pare) la malattia mentale di sua moglie si era già molto aggravata (verrà ricoverata due anni dopo), suo figlio Stefano era prigioniero in un campo di concentramento, l’altro figlio, Fausto, era sotto le armi, l’Italia era in guerra, una guerra orribile, egli aveva cinquant’anni e scrisse una commedia (o una parabola) dove un gruppo di signori e signore borghesi disquisiscono, si arrovellano e forse perdono alla fine la ragione per determinare chi, tra due poveri disgraziati, sia pazzo e chi sia invece sano di mente.
A causa di ciò si torturano a vicenda con tanta ferocia, che arriveranno forse alla follia, senza essere giunti a nessuna conclusione, senza aver raggiunto nulla.
Niente.
La commedia è tutta lì.
E ognuno di noi non può sottrarsi al terribile confronto con essa.
Con il sorriso perfido e privo di indulgenza che ci rivolge il nostro poeta.

Filippo Dini

Biglietti: Platea Intero Euro 22,00 Ridotto convenzioni e giovani fino a 28 anni Euro 19,00
Galleria Intero Euro 20,00 Ridotto convenzioni Euro 17,00 Speciale giovani fino a 28 anni Euro 10,00
Loggione Intero Euro 10,00 Speciale Giovani fino a 28 anni Euro 5,00

Vendita biglietti: Turismo Torino e Provincia – Ufficio di Pinerolo Via Duomo, 1 – Tel. 0121-795589
ON-LINE su www.vivaticket.it – il giorno stesso dello spettacolo dalle ore 19,30 presso la biglietteria del Teatro Sociale INFO: Comune di Pinerolo – tel. 0121.361271/3

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